La scusa perfetta per non fare nulla e sentirsi un po’ un guerriero

softair

La scusa perfetta per non fare nulla e sentirsi un po’ un guerriero

Softair. Quando l’hobby diventa arte del procrastinare con stile militaresco

Il mondo è pieno di attività che promettono di trasformarti in una versione migliore di te stesso. Palestra per scolpire il fisico, corsi di lingua per espandere gli orizzonti, meditazione per trovare la pace interiore.

E poi c’è il softair, quella magnifica invenzione che ti permette di sentirti Rambo mentre in realtà stai solo procrastinando con grande dignità.

L’arte di trasformare il niente in qualcosa di epico

Il softair è geniale nella sua semplicità. Prendi delle repliche di armi che sparano palline di plastica da sei millimetri, aggiungi un gruppo di adulti che hanno nostalgia dei giochi di guerra dell’infanzia, e il gioco è fatto. Improvvisamente, passare un’intera domenica nascosti dietro un cespuglio diventa una “missione tattica di ricognizione”.

Non importa se in realtà stai solo evitando di sistemare quella mensola che tua moglie ti chiede di montare da tre mesi. Tu sei impegnato in operazioni di vitale importanza nazionale. O almeno così sembra quando racconti alla tua famiglia che non puoi andare a pranzo dalla suocera perché hai “addestramento”.

 

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tuta mimetica indispensabile per nascondersi anche ai propri compagni e dormire in mezzo ai cespugli

 

Quando il costume diventa più importante della sostanza

Una delle bellezze del softair è che puoi investire più tempo e denaro nell’equipaggiamento che nell’effettiva pratica dell’attività. Ore passate a scegliere la mimetica perfetta, a confrontare mirini, a discutere sui forum delle differenze tra un caricatore da 120 colpi e uno da 130. È procrastinazione elevata ad arte.

Il vero softairista sa che l’aspetto conta più della performance. Meglio sembrare un Navy SEAL anche se poi in campo ti eliminano dopo cinque minuti perché hai dimenticato di togliere la sicura. L’importante è aver speso tre ore quella mattina a lustrare l’elmo e a sistemare le tasche del giubbotto tattico in ordine alfabetico.

La filosofia del “prima o poi mi alleno davvero”

Il softair è perfetto per chi ama fare piani grandiosi che non si realizzeranno mai. “La prossima volta mi alleno sul tiro”, “Dovrei proprio studiare qualche tattica militare”, “Bisognerebbe che facessi un po’ di cardio per resistere di più”. Tutte frasi che riecheggiano nei circoli softairistici come mantra di buone intenzioni mai concretizzate.

Nel frattempo, puoi sempre giustificare la tua forma fisica mediocre dicendo che stai adottando un approccio “tattico-conservativo“. In altre parole, preferisci nasconderti e aspettare che gli altri si eliminino da soli piuttosto che correre in giro come un forsennato. È strategia, non pigrizia.

L’illusione della preparazione atletica

Certo, il softair richiede movimento. Devi camminare, a volte correre, magari rotolare dietro un ostacolo. Ma è quel tipo di attività fisica che ti fa sentire sportivo senza essere davvero impegnativo. È come convincersi di aver fatto ginnastica perché hai fatto le scale invece di prendere l’ascensore.

Dopo una giornata di softair torni a casa con la soddisfazione di chi ha “sudato” e si è “allenato”, anche se in realtà hai passato più tempo seduto dietro una trincea a mangiare panini che in movimento. Ma ehi, hai anche bevuto molta acqua e respirato aria fresca. Praticamente hai fatto un ritiro benessere.

Il fascino della comunità dei procrastinatori organizzati

Una delle cose più belle del softair è che ti mette in contatto con altri professionisti della nobile arte del rimandare. Insieme potete passare ore a pianificare eventi che forse non si faranno mai, a discutere di regolamenti che nessuno rispetterà completamente, a organizzare squadre che si sfasceranno alla prima sconfitta.

È una comunità dove tutti capiscono l’importanza di avere sempre una scusa valida per non fare altre cose più impegnative o noiose. “Non posso venire a tagliare l’erba, ho il raduno mensile della squadra”. Suona molto più eroico di “Preferisco giocare alla guerra piuttosto che fare i lavori domestici”.

 

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Niente di meglio che un  FUCILE ELETTRICO A CANNE ROTANTI per sterminare flora, fauna e nemici fino alla settima generazione

 

La trasformazione domenicale da impiegato a guerriero

La vera magia del softair sta nella trasformazione temporanea che offre. Dal lunedì al venerdì sei un comune mortale che fa un lavoro normale, si lamenta del traffico e discute di bollette. Ma la domenica mattina indossi quella mimetica e diventi qualcun altro.

Per qualche ora puoi fingere che le tue preoccupazioni più grandi siano evitare il fuoco nemico e portare a termine la missione con la tua fidata pistola a molla , invece di pensare alla riunione di lunedì o alla scadenza del mutuo. È una fuga dalla realtà socialmente accettabile, con tanto di hobby club e attrezzatura specializzata.

L’equilibrio perfetto tra impegno e spensieratezza

Il softair è brillante perché ti permette di sentirti impegnato in qualcosa di serio senza che sia davvero così serio. Hai obiettivi da raggiungere, strategie da mettere in atto, armi softair da lucidare, squadre da coordinare, ma alla fine se sbagli nessuno muore davvero e il massimo che rischi è di tornare a casa con qualche graffio e l’orgoglio leggermente ammaccato.

È il compromesso perfetto per chi vuole sentirsi protagonista di qualcosa di importante senza le vere responsabilità che comporta essere protagonisti di qualcosa di davvero importante. Insomma, è l’hobby ideale per chi vuole giocare a fare l’eroe con le pistole elettriche senza dover salvare davvero nessuno.

E così, mentre il resto del mondo corre dietro a obiettivi veri e sfide concrete, tu puoi continuare a nasconderti dietro quel cespuglio, con la tua replica perfettamente lucidata e la sensazione di essere, per qualche ora, qualcosa di più di quello che sei dal lunedì al venerdì. Non è poi così male come modo di non fare nulla, no?

occhiali da sole di lusso

Occhiali da sole di lusso, investimento di stile o status symbol?

Di un osservatore disincantato che probabilmente indossa occhiali da mercatino mentre scrive

Quando un pezzo di plastica costa quanto un’auto usata

Ah, gli occhiali da sole di lusso. Quei magnifici pezzi di plastica e metallo che alcuni di noi sono disposti a pagare quanto una settimana in Costa Smeralda. Li vedi passeggiare sui volti di celebrity e wannabe influencer, brillanti come promesse elettorali e altrettanto sostanziali. Ma cosa stiamo comprando veramente quando spendiamo 400 euro per un paio di Gucci o Prada? Forse la sensazione che il commesso di Coin ci guardi con più rispetto? O semplicemente il diritto di postare una foto con l’hashtag #luxurylifestyle?

La verità è che l’industria degli occhiali di lusso è uno dei più grandi capolavori di marketing della storia moderna.

Un settore che è riuscito a convincerci che pagare dieci volte di più per qualcosa che essenzialmente fa la stessa identica cosa – proteggere gli occhi dal sole – sia perfettamente ragionevole. Come se comprare acqua in bottiglia firmata Louis Vuitton fosse più dissetante.

L’arte di spendere troppo e sentirsi bene

“Sono un investimento,” ci ripetono mentre passano la carta di credito al commesso, che fatica a trattenere un sorrisetto. Certo, un investimento. Come quel corso di canto che hai abbandonato dopo due lezioni o la cyclette che usi come attaccapanni di design.

Ma siamo onesti: ci piace l’idea che qualcuno noti quel piccolo logo all’angolo della lente. Ci gratifica pensare che il nostro vicino di ombrellone al mare stia cercando di decifrare se quelli sono davvero i nuovi Tom Ford o solo un’imitazione molto ben fatta.

Perché alla fine, non stiamo comprando occhiali da sole – stiamo comprando l’illusione di appartenere a un club esclusivo, dove l’ingresso costa quanto una cena in un ristorante stellato.

Occhiali da sole prada
Occhiali da sole Prada

E mentre alcuni di noi cercano di giustificare l’acquisto parlando di “qualità superiore” e “materiali migliori”, altri abbracciano completamente l’assurdità della situazione: “Sì, ho speso uno stipendio per questi occhiali. No, non mi proteggono dal sole meglio di quelli da 20 euro. Sì, probabilmente li perderò entro fine estate. E allora?”

La grande illusione della protezione oculare

La parte più divertente? Spesso gli occhiali da 400 euro e quelli da 40 escono dalle stesse fabbriche. Luxottica, il gigante italiano che controlla circa l’80% del mercato mondiale degli occhiali di lusso, produce lenti e montature per dozzine di marchi diversi. Dagli economici Ray-Ban (che ormai consideriamo quasi “basic”) ai lussuosissimi Bulgari, passando per Prada, Versace, Dolce & Gabbana, e persino Chanel.

È come scoprire che il caviale e la pasta al tonno vengono dallo stesso mare, solo che uno costa cento volte di più perché qualcuno ha deciso che doveva essere così.

Ma ehi, chi siamo noi per giudicare? Se qualcuno trova soddisfazione nel pagare il prezzo di un piccolo elettrodomestico per indossare un logo sulla tempia, chi siamo noi per rovinare il divertimento?

Il ciclo di vita di un paio di occhiali di lusso

  • Fase 1: Acquisto. Un mix di eccitazione, colpevolezza finanziaria e la strana sensazione di essere contemporaneamente più intelligenti e più stupidi di tutti.
  • Fase 2: Ostentazione. Li indossi ovunque, anche in situazioni inappropriate. “Oh questi? Sono solo i miei Gucci che uso per portare fuori il cane.”
  • Fase 3: Paranoia. Cominci a immaginare scenari catastrofici. E se cadessero in piscina? E se qualcuno li rubasse mentre nuoti? E se un gabbiano particolarmente snob decidesse di farne la sua nuova casa?
  • Fase 4: L’inevitabile perdita/rottura. Accade sempre. Non importa quanto tu sia attento, il destino degli occhiali costosi è segnato. Li dimenticherai in un taxi, cadranno dalla tua testa mentre ti affacci da un ponte, o semplicemente si smaterializzeranno come calzini in lavatrice.
  • Fase 5: Lutto seguito da una nuova, irrazionale voglia di ricomprarne un altro paio. “Questa volta starò più attento,” ti dici, sapendo benissimo che è una bugia.

Perché continuiamo a cascarci

Nonostante tutto, il mercato degli occhiali di lusso continua a prosperare. Perché? Forse perché in un’epoca di incertezze economiche e cambiamenti climatici, c’è qualcosa di rassicurante nel credere che un pezzo di plastica con un logo possa definire chi siamo. Forse perché amiamo l’idea di appartenere a qualcosa di esclusivo, anche se quell’esclusività è totalmente artificiale.

Occhiali da sole tiffany
Occhiali da sole Tiffany

O forse, semplicemente, perché a volte è bello possedere qualcosa di bello. Qualcosa che, razionalmente, sappiamo essere una follia finanziaria ma che ci fa sentire, anche solo per un istante, come se avessimo fatto la scelta giusta. Come se quei 400 euro non fossero stati spesi per un oggetto ma per un’emozione, per un’identità temporanea, per una storia da raccontare.

L’ultima risata

Alla fine, chi ride davvero? L’industria che ha costruito un impero vendendo plastica a prezzi d’oro? Il consumatore che crede di aver fatto un affare?

O forse chi osserva tutto questo dall’esterno, con i suoi occhiali da 30 euro, godendosi lo spettacolo dell’umana vanità?

Forse ridiamo tutti, ciascuno a modo suo. E forse è giusto così. In un mondo dove spesso ci si prende troppo sul serio, c’è qualcosa di liberatorio nel riconoscere l’assurdità delle nostre scelte di consumo.

Occhiali da sole donna tom ford
Occhiali Donna Tom Ford Joanna

Quindi, la prossima volta che vedrete qualcuno pavoneggiarsi con un paio di occhiali da sole dal prezzo esorbitante, sorridete. Non perché siete superiori, ma perché state osservando uno dei più grandi spettacoli della moderna società dei consumi. E chi sa, magari state anche guardando attraverso un paio di lenti firmate voi stessi.

Dopotutto, potremmo essere tutti vittime dello stesso scherzo. Ma almeno alcuni di noi lo stanno guardando attraverso lenti polarizzate di alta qualità. O almeno, così ci piace pensare.

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La barriera parcheggio automatica tra amore e odio, il dramma quotidiano di ogni automobilista

Quando il tuo destino dipende da un braccio meccanico

Eccola lì, con il suo braccio alzato in attesa di abbattersi sul tetto della tua auto se non sei abbastanza veloce. La barriera del parcheggio automatica, questo dispositivo apparentemente semplice ma carico di potere, è diventata una presenza costante nella nostra vita quotidiana. Che sia in un centro commerciale, in aeroporto o nel parcheggio sotto l’ufficio, prima o poi …

tutti dobbiamo confrontarci con questa divinità meccanica che decide se possiamo proseguire o rimanere bloccati in un limbo di frustrazione.

La tecnologia che nessuno ha chiesto (ma di cui non possiamo fare a meno)

Parliamoci chiaro: nessuno si è mai svegliato una mattina pensando “wow, non vedo l’ora di interagire con una barriera automatica oggi”. Eppure, queste sentinelle di metallo sono diventate indispensabili. L’ evoluzione tecnologica dell’automazione negli ultimi anni è stata impressionante, anche se francamente chi se ne frega? Da semplici sbarre azionate da un tizio in una cabina, siamo passati a sistemi con riconoscimento targhe, lettori RFID, e app che ti permettono di alzare la barriera con lo smartphone – quando funzionano, ovviamente.

barriere stradali

I modelli più recenti di asta automatica vantano tempi di apertura inferiori ai due secondi. Due secondi che possono sembrare un’eternità quando hai quindici auto in coda dietro di te e il biglietto non viene letto. È in questi momenti che la nostra vera natura emerge: c’è chi sussurra parole dolci alla macchinetta sperando in un atto di pietà, chi impreca come un marinaio, e chi preme nervosamente il pulsante di aiuto fingendo di non aver sentito le istruzioni automatiche per la terza volta consecutiva.

L’economia nascosta dietro quel braccio metallico

Non fatevi ingannare dalla sua apparente semplicità. Il mercato delle barriere automatiche è un business milionario, con aziende che competono per offrire il miglior sistema anti-intrusione, la miglior resistenza agli agenti atmosferici, o la più rapida apertura e chiusura. I prezzi variano dai mille euro per modelli base fino a decine di migliaia per sistemi integrati con telecamere, sensori e chi più ne ha più ne metta.

Ma la vera genialità economica sta nel sistema dei ticket smarriti. Chiunque abbia perso il biglietto del parcheggio sa bene che quella piccola ricevuta di carta vale improvvisamente come un lingotto d’oro. “Ha smarrito il ticket? Saranno 50 euro per la giornata intera” – anche se sei stato dentro solo per il tempo di un caffè veloce.

Non è forse questa la vera ragione per cui continuiamo a installare questi dispositivi ovunque? Un modo elegante per finanziare l’intero parcheggio con la smemoratezza umana

La psicologia dell’attesa davanti alla sbarra

C’è qualcosa di profondamente rivelatorio nel modo in cui reagiamo di fronte a una barriera che non si alza immediatamente. Alcuni mantengono la calma olimpica, altri iniziano a sudare freddo dopo tre secondi di attesa. È come se quel breve momento mettesse a nudo la nostra vera personalità.

E cosa dire della danza del “mi avvicino abbastanza ma non troppo”? Quell’arte sottile di posizionarsi alla distanza perfetta: troppo lontano e il sensore non ti rileva, troppo vicino e rischi che la sbarra ti cada sul cofano quando finalmente si decide ad alzarsi. È un balletto quotidiano che nessuna scuola di danza ti insegnerà mai.

Quando la tecnologia fallisce per il trionfo dell’umanità

Nonostante tutta la tecnologia, i sensori e l’automazione, c’è sempre quel momento magico in cui il sistema va in tilt. È in queste occasioni che assistiamo a scene memorabili: guardie che escono dal gabbiotto per alzare manualmente la barriera, automobilisti che si coordinano per tenere sollevato il braccio meccanico mentre le auto passano in processione, o l’improvvisa solidarietà tra estranei uniti dalla comune frustrazione.

barriera alzacatena
barriera alzacatena

 

In questi momenti di crisi tecnologica, riemerge il meglio dell’umanità. O forse solo la nostra capacità di arrangiarci quando le macchine ci abbandonano. In ogni caso, c’è qualcosa di poetico nel vedere una fila di persone che collabora per sconfiggere temporaneamente il sistema che dovrebbe, in teoria, rendere tutto più efficiente.

Un rapporto complicato

Alla fine, il nostro rapporto con le barriere automatiche è come una di quelle relazioni complicate che tutti abbiamo avuto almeno una volta nella vita. Le detestiamo quando ci fanno aspettare, le malediciamo quando non funzionano, ma in fondo sappiamo che rendono i nostri parcheggi più sicuri e organizzati.

E mentre ci prepariamo per un futuro di auto a guida autonoma che probabilmente parleranno direttamente con le barriere senza il nostro intervento, concediamoci un momento di nostalgia per quei secondi di pura suspense davanti alla sbarra che si alza con esasperante lentezza.

Perché in fondo, in un mondo sempre più automatizzato, non è forse questa piccola frustrazione quotidiana che ci ricorda di essere ancora meravigliosamente umani?

O forse è solo una stupida sbarra di metallo e sto filosofeggiando troppo. Chi lo sa? Sicuramente non la barriera.

Johnathan macedo

Attrezzature professionali per la cucina, ovvero come svuotare il conto corrente per sembrare Gordon Ramsay

Da chi pensa di essere uno chef solo perché ha comprato un coltello da 200 euro

Ah, le attrezzature professionali per la cucina. Quei lucenti pezzi di metallo che promettono di trasformarti da disastro culinario a Masterchef in un solo acquisto. Perché cucinare con padelle normali quando puoi indebitarti per una collezione di strumenti che userai forse tre volte l’anno? Ma hey, chi sono io per giudicare? Entriamo nel mondo dorato (e costoso) delle attrezzature da cucina per professionisti… o aspiranti tali.

Gli indispensabili che probabilmente non ti servono

Iniziamo con i coltelli professionali , la porta d’ingresso nel mondo della cucina professionale. Un buon set ti costerà quanto un rene sul mercato nero, ma almeno potrai tagliare le carote con la precisione di un chirurgo. Gli chef ti diranno che un coltello Santoku forgiato a mano da un maestro giapponese centenario fa tutta la differenza. E sì, probabilmente è vero – se tagli cipolle otto ore al giorno. Per preparare la tua pasta al sugo del giovedì sera? Forse è un tantino eccessivo.

VALIGIA PER CUOCO IN ALLUMINIO CON SET DI 13 COLTELLI
VALIGIA PER CUOCO IN ALLUMINIO CON SET DI 13 COLTELLI

 

Poi abbiamo le pentole in rame, belle da far girare la testa e pesanti abbastanza da poterti allenare mentre cucini. “La distribuzione del calore è impareggiabile”, dicono gli esperti. Quello che non dicono è che dopo averle usate passerai più tempo a lucidarle che a cucinare.

Ma ehi, quando i tuoi amici verranno a cena, potranno ammirare il tuo set di pentole appeso che riflette la luce come uno specchio da discoteca anni ’70.

Le macchine che trasformeranno la tua cucina in un laboratorio

Il robot da cucina professionale. Una bestia di metallo del peso di una piccola automobile che promette di tritare, impastare, montare e probabilmente anche fare il caffè al mattino. Costa quanto una vacanza ai Caraibi, occupa metà della tua cucina, ma ti permette di fare una maionese in 30 secondi invece che in un minuto. Rivoluzionario, no?

Non dimentichiamo il sottovuoto professionale, perché evidentemente sigillare il cibo in sacchetti di plastica con un apparecchio che sembra uscito da un film di fantascienza è l’apice della sofisticazione culinaria. Abbinalo a un circolatore termico per la cottura sous-vide e potrai far cuocere una bistecca per 48 ore.

RONER SOFT COOKER PER LA COTTURA SOUS-VIDE SOTTOVUOTO
RONER SOFT COOKER PER LA COTTURA SOUS-VIDE SOTTOVUOTO

 

Perché accontentarsi di una grigliata di 15 minuti quando puoi pianificare la cena con due giorni d’anticipo?

La tecnologia che non sapevi di non volere

La moderna cucina professionale sembra sempre più un laboratorio di scienze. Sifoni per spume, cannelli per caramellare, essiccatori, affumicatori… strumenti che trasformano il cibo in qualcosa che non sembra più cibo. “È un’emulsione di topinambur con schiuma di pecorino e polvere di olive disidratate” suona sicuramente più interessante di “è una zuppa”, ma alla fine della giornata, la fame è la stessa.

E che dire dei forni professionali combinati vapore? Apparecchi delle dimensioni di una lavatrice che costano quanto una piccola utilitaria. Ti permettono di cuocere con precisione scientifica, mantenendo l’umidità al livello perfetto.

Utile se stai preparando un banchetto per 50 persone, leggermente esagerato per riscaldare la lasagna avanzata.

La verità che nessuno vuole ammettere

Ecco il segreto sporco che nessun venditore di attrezzature professionali vuole che tu sappia: la maggior parte dei grandi chef può fare magie anche con strumenti basilari. Perché? Perché è la tecnica, stupido!

Un coltello da 20 euro ben affilato nelle mani giuste può fare miracoli, mentre il set da 1000 euro nelle mani sbagliate produrrà solo tagli alle dita.

Ma certo, questo non significa che non dovresti concederti quel frullatore professionale che hai adocchiato. Dopotutto, come potresti mai preparare un frappè senza un apparecchio che ha la potenza di un motore fuoribordo? Impossibile, chiaramente.

FRULLATORE PROFESSIONALE DA 2 LT
FRULLATORE PROFESSIONALE DA 2 LT

Attrezzature o abilità?

Alla fine della giornata, le attrezzature professionali sono un po’ come una Ferrari: belle da avere, impressionanti da mostrare, ma probabilmente eccessive per andare a fare la spesa. Se cucinare è la tua passione e hai il portafoglio per sostenerla, perché no? Goditi ogni centimetro di quel piano cottura a induzione con sei fuochi.

Ma se sei come la maggior parte di noi mortali, ricorda che una buona tecnica, ingredienti di qualità e un po’ di creatività possono portarti molto lontano, anche con attrezzature modeste. O puoi sempre ordinare cibo a domicilio e usare quelle pentole di rame come soprammobili molto costosi. Chi sono io per giudicare?

E ricorda, la prossima volta che qualcuno ti chiederà se quella salsa l’hai fatta con il tuo nuovo Thermomix da 1300 euro, puoi sempre mentire. Nessuno saprà mai la verità.